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Ti racconto cosa direi alla persona che ero 10 anni fa

Partecipo in ritardo (ma con molto piacere) a #NovelleQuotidiane29 : ecco un altro minuscolo racconto.


Duemiladieci. Hai sedici anni Alice, nella tua testa già frullano tutti quei pensieri da grande, e tu non sai di essere ancora una bambina. Tutti quei sogni e le mille fantasie per te non sono qualcosa da infante: sei semplicemente te stessa – almeno fino a quando qualcuno non ti farà sentire sciocca per questo –.
Sei orgogliosa e testarda e pur non sapendo dove alberghi il tuo valore morale, ti batti per difendere uno strano concetto di femminilità e femminismo che senti appartenerti; con un pizzico di arroganza sdegni quella tua profonda sensibilità: la rifiuti additandola come la tua più grande debolezza.
Non accetti di sbagliare, non vuoi aver torto: per te gli errori sono giudizi sulla tua personalità, non sul singolo evento.
Quanti errori hai commesso, Alice, credendo che la vita debba essere affrontata con orgoglio e rabbia, senza emozioni dolci e pulite, senza permetterti di essere debole agli occhi degli altri.
Perché per te il punto fondamentale è questo: apparire forte, intangibile.
Ed è proprio per questo che il tuo essere accusa i colpi: la tua essenza, inconsapevolmente, sta iniziando a cedere.  La tua anima verrà ferita, la tua mente cadrà preda di obblighi nati dalla forza della psicologia inversa.
Oh giovane Alice, se tu solo sapessi quanto è puro e semplice essere solo sé stessi, anche con la tua fragile sensibilità.  Con gli anni scoprirai proprio in essa la tua più grande forza: affiancherà quella innata curiosità custodita in te e l’orgoglio, creando l’ambizione.   
Potrei darti mille consigli, elencare cento situazioni che dovresti  affrontare diversamente, così da semplificarti la strada verso l’età adulta. Ma ti conosco troppo bene, so che dall’alto dei tuoi sedici anni non accetteresti alcun consiglio, e forse è giusto così.
Ti comprendo sai: la testardaggine la conserverai oltre i vent’anni. Quali siano le esperienze che affronterai ti porteranno ad essere chi sei: puoi scegliere di prendere il buono anche da ciò che ti causerà dolore. Ti prego, non scordarlo mai.

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Ti racconto la mia città natale

Introduzione

Anche oggi partecipo all’iniziativa di @margherita.tercon su instagram. #NovelleQuotidiane4 ha come argomento “Ti racconto la mia città natale”. Io non sono nata in una città, ma in un piccolo paese.
Se sei arrivato qui da instagram, poco sotto troverai la versione integrale di ciò che hai letto sotto il mio ultimo post. Buona lettura!


Il canto incessante del gallo e degli uccellini.
Il profumo del sole sull’asfalto che si mescolava a quello di acetone. Profumo di focaccia, pizza, profumo di brioches.
A quel tempo la mia vita era circoscritta al mio piccolo paese.
In realtà non possiedo molti ricordi nitidi relativi all’infanzia, la mia mente ricorda piuttosto tramite i sensi: questi mi riportano alle giornate estive, quando i miei lavoravano, e la casa dei nonni era anche la mia casa.
Mi svegliavo nello stretto lettino di fronte alla finestra che si apriva – e si apre tutt’oggi – faccia a faccia con la fabbrica di souvenir dei miei zii. Ad intervallare i due edifici un fazzoletto di asfalto, qualche auto ed il furgone.
Aprivo gli occhi (relativamente) presto da bambina, giusto in tempo per sentire il clacson del furgoncino del panaio a richiamare l’attenzione del vicinato.
Erano sempre le 9:00 in punto: correvo in fabbrica dalla nonna per prendere gli spiccioli e l’odore dell’acetone mi penetrava le narici. Il nonno era sempre immancabilmente in mezzo alla polvere, a molare le statuine, quelle stesse che la nonna tingeva.
Scendevo le scalette a rotta di collo quasi senza notare gli zii che mi dicevano di andare piano.
In un attimo mi ritrovato di fronte a tutte le leccornie che aveva portato il panaio. Non sapevo mai cosa acquistare – oltre al pane per la nonna, ovviamente –. La pizza era quella preferita dello zio Andrea, me lo ricordo. Allo zio Luca piaceva sempre tutto e beh… anche a me piaceva sempre tutto.
Era una realtà piccolina.
Fino a che la mia età non si è trasformata in una doppia cifra, io vivevo praticamente in quel piazzale. Probabilmente sono cresciuta troppo in fretta, perché nel giro di un battito di ciglia mi sono ritrovata a vivere fuori Piazza dei Miracoli e poi, un altro battito di ciglia dopo, senza neanche averlo scelto, mi sono ritrovata nuovamente nel mio paesino.

Il mio paesino non è più lo stesso.

E’ cresciuto come me. Non è più intimo come era a quel tempo.
La fabbrica va ancora avanti, immagino che anche il panaio passai ancora. Ad oggi anche in estate non mi sveglio più in quel lettino, da quando sono tornata da Pisa mi sveglio nella mia casa, nella testa di una donna che va a lavorare e che cerca il suo posto nel mondo.
In fabbrica vado con estrema rarità, ma si sente ancora lo stesso odore di acetone di sempre. Gli zii forse hanno un po’ più fretta di prima, vogliono tornare presto dalle loro famiglie. La nonna non lavora più, l’età si fa sentire anche per lei. Sta spesso sola in casa, o annaffia i vasi di fiori nel piazzale, accompagnata dal cinguettio degli uccellini. Il gallo ha smesso di cantare: il pollaio dall’altro lato della strada ormai è pieno solo di tante erbacce.
Gli anni passano, e raramente mi prendo cinque minuti per cercare quegli odori, quei suoni.
Non so cosa sia davvero rimasto del mio piccolo paesino: vicino alle nuove strutture i vecchi edifici sono sempre gli stessi, ma non riesco a togliermi dalla testa l’idea di non essermi ritagliata il giusto tempo per apprezzarlo davvero.
Ora che quel tempo lo vorrei, lui scappa tra le dita come l’acqua, come tutte le persone che non ci sono più.  

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Attimi

Fretta

In molti avranno, come me, imparato la sottile arte di aver fretta.
Quella sottile, impercettibile lezione di vita che viene somministrata ad ognuno fin da quando è bambino.
Si è già fatta mattina, la sveglia suona… Presto! Sveglia!È tardi è tardi!
Vestiti, colazione – di fretta quei biscotti che l’autobus bussa alla finestra –, lavarsi i denti, lo zaino sulle spalle.
Sali. Viaggio. Scendi.
Entri dalla porta delle elementari, esci da quella delle medie; la mattina dopo già apri la porta dell’università.
Nella fretta di scegliere la tua strada hai appena finito il primo appello.
(Sei anche felice di vivere da solo)
Il secondo appello.
(«Eppure fino a pochi minuti fa ero nel giardino a giocare a palla con i miei amici»)
Il terzo.
Frettoloso hai dato 29 esami, ma intanto non smetti di avere fretta.
Le superiori… sembra un’altra vita. Sì, hai 30 anni, quelli sono ricordi di un altro tempo.

(Nella fretta)
Hai fretta, ma continui a sentirti l’ultimo.
Hai fretta di avere fretta, tanto che non ti preoccupa più neanche avere ansia. L’ansia è utile concime: il giusto fertilizzante per crescere e stare al passo con la vita.
Così come un melo richiede la giusta ed amorevole cura per far maturare la fretta… forse sbaglio? Si chiamava frutta?
Nella fretta mi ero confusa.
La frutta non è da confondere con la fretta: lei almeno può tirare un sospiro di sollievo e bearsi di un’intera stagione di sole prendendosi un lasso di tempo lungo tanto quanto la aggrada per maturare. Sarà accarezzata dalle foglie gentili e visitata da qualche farfalla colorata. Diventerà bella scintillante, succosa, colorata, piena. Anche agli animali farà gola.


Non si sa bene come succeda, ma te di contro già pensi con piacere al momento in cui sarai solo nocciolo.
Hai fretta. Se studi sei un nullafacente («Ventisette anni, ancora studi? E l’affitto? Lo stipendio? I contributi? Non ti interessa guadagnare?»)
Scegli di non studiare, ti insegneranno che non hai studiato perché non sei abbastanza intelligente. Attento anche a non trovarti un buon lavoro se sei troppo giovane, ti scoprirai raccomandato.
Ah! Ricorda anche che se prendi tempo sei un figlio di papà.
Quale sia la tua scelta, ricordati di essere abbastanza rapido, o sei un fallito.
Hai fretta di trovare un lavoro e la frutta la mangi senza curartene troppo a metà mattina.
Stabilità, quale miraggio.
Inizi a chiederti per la prima volta se non sia che hai vissuto i primi (i più bei-) trent’anni della tua vita un po’ troppo di corsa. Ma anche questo lo fai di fretta, senza sentirti maturare sotto i raggi del sole, senza prenderti il tempo di conoscere – con delicatezza – i nuovi colori che ti si addicono, senza chiederti con la giusta premura se ti va bene piacere agli occhi di chi ti guarda o se preferiresti piacere a te stesso.
Ma c’è il benestare, la dovizia (lo stipendio!!!) e con la pancia piena di schifezze
(al posto della frutta)
ti arrangi a seguire i canoni.
Io non ho capito, nella fretta, dove si trova il tempo per essere felici.

Nato in un’epoca fortunata,
nato nel luogo fortunato,
non esiste lamento,
non esiste guerra a distruggere la tua fretta: sarà la tua fretta a distruggerti.