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Riccioli, fiocchi rosa e innocenza

Finalmente sono riuscita a mettere un punto al primo capitolo della nuova sfida che mi sono lanciata: raccontare le vostre storie. Su instagram, (@alicendemon) non molto tempo fa, ho chiesto se qualcuno voleva raccontare tramite i miei scritti episodi emotivamente forti e significativi. Ognuna delle risposte che ho ricevuto rappresenta una piccola sfida per me, ma anche per chi ha deciso di aprirsi.
Non voglio anticipare niente del racconto “Riccioli, fiocchi rosa ed innocenza“, tranne una singola cosa doverosa: ciò che leggerete sotto è tratto da una storia vera, alcune parole potrebbero urtare la sensibilità di chi non è emotivamente stabile e consapevole. Invito chiunque altro alla lettura e alla condivisione. Di certi argomenti non si parla mai a sufficienza. 


Camminava spedita per le vie di Londra. La sua destinazione era uno dei tanti meravigliosi parchi che costellavano la città, dove aveva appuntamento con una sua cara amica. Noemi – questo era il suo nome –era tanto abituata al caos di quella metropoli colorata e poliedrica che fare lo slalom tra i passanti le veniva spontaneo quasi quanto respirare.
Anche se la giornata era iniziata con grigiore, da poco aveva smesso di piovere ed un timido solicello era spuntato all’orizzonte, dietro il Big Ban.
Con la coda dell’occhio scorse qualcosa che attirò la sua attenzione, tanto da farla fermare per osservare.
Dall’altro lato della strada, sopra la porta di un pub, dei fiorellini viola e rosa facevano capolino da un vaso appeso. Una bambina, attratta dai colori, si era fermata tirando la mano della persona che era con lei: un uomo ben oltre la mezza età.
Noemi, anche adesso che era diventata una donna, ogni tanto rimaneva catturata da immagini che richiamavano ricordi. Stralci di un passato che talvolta non sembrava appartenerle, ma che portava inciso sulla pelle, sotto quel tatuaggio sottile. Insieme ad esso, era viva la consapevolezza che anche se la sua coscienza poteva dormire a comando, certi avvenimenti sarebbero stati per sempre indelebili.
Bastava poco: una conversazione udita di sfuggita, la pagina di un libro, la scena di un film… o una bambina ricciolina di fronte a lei, per mano ad un uomo che, si augurava, fosse suo nonno.
La piccola non poteva avere più di dieci anni, era girata quasi di spalle e anche se il suo profilo era semi-nascosto dietro i capelli, Noemi poteva scorgerne la bellezza.
Avete presente i ricciolini piccoli piccoli, precisi e ordinati sulla testa di una bambina? Una vera rarità, in un mondo costituito perlopiù da piccole lisce od ondulate. La ricciolina aveva anche due fiocchetti rosa in testa ad incorniciare quella sua rara e preziosa caratteristica.
Anche Noemi, che osservava dall’altro lato della strada, era stata una bambina così.
Gli stessi capelli riccioli ed ordinati, anche ora che era cresciuta, le scappavano da sotto il cappello.
 “Ogni riccio un capriccio”.
Se lo aveste detto alla lei adolescente, in mezzo alle sue ribellioni, vi avrebbe risposto che si, conosceva i suoi capricci. Freddamente consapevole di tutti i suoi errori, che commetteva con un piacere quasi autolesionista. 
Era stata una bambina capricciosa, qualcosa dentro di lei non si risparmiava mai di ricordarglielo, ma era anche stata una bambina come tante: desiderosa di amore, di condivisione, di comprensione emotiva. Desiderosa di una o più guide tra gli adulti, per affrontare gli anni che nel susseguirsi aprivano sempre più porte a meccanismi a lei sconosciuti.
Per una volta ancora, quella che ora era una giovane donna, camminando per le strade di Londra in una fredda primavera, con la mente era volata verso ricordi che per anni le avevano destato paura e vergogna.
Quante volte aveva sbagliato nella vita? Forse era nata sbagliata?
Quando aveva 9 anni se lo era chiesto spesso, chi sa se con ingenuità o disperazione.
Era passato al massimo qualche secondo da che aveva ripreso la strada per raggiungere Hyde Park, quando una voce la riscosse dai suoi pensieri.
«Beccata! – a pochi centimetri dal suo volto era comparso l’ampio sorriso di Alice – guarda che assurda casualità! Sono risalita su dalla fermata della metropolitana proprio nel momento in cui stavi passando qui davanti».
Il sorriso della ragazza, però, si spense un poco.
«Tutto a posto Noemi?».
Lei si riscosse in un istante «Si, certo. Mi hai solo colta alla sprovvista, ero immersa nei miei pensieri. Proseguiamo insieme?».
Così si incamminarono verso il parco. Trovarono una panchina libera riscaldata dal sole dove sedettero a sorseggiare con calma due caffè americani.
«Alice, ricordi quella storia di cui ti parlai qualche anno fa? Quando avevo nove anni…».
«Come potrei dimenticare?» le rispose subito.

Era accaduto tanti anni prima. All’epoca, dopo la scuola, Noemi frequentava una palestra dove faceva ginnastica artistica con tante altre bambine come lei. Le piaceva quella palestra, la teneva a distanza da situazioni che nella sua casetta le stavano strette.
Noemi era stata una bambina bellissima. Sembrava molto più grande della sua età, tanto che spesso veniva proprio trattata come se avesse qualche anno in più: inorgoglita dall’essere considerata matura, non poteva capirne i lati negativi.
Nella palestra che frequentava c’erano tante persone gentili, come le insegnanti ed il custode.
Lui, in particolare, era il più affabile di tutti: le sorrideva sempre, ogni tanto si avvicinava e le faceva dei dolci complimenti sussurrando al suo orecchio. A lui piacevano tanto i suoi ricciolini.
Noemi, adesso che era diventata una donna, non ricordava cosa succedeva nella sua mente infantile ed ingenua quando lui le offriva quei gesti.
Avete presente la sensazione che lasciano i sogni vividi?
Quelli talmente reali che al risveglio lasciano il bisogno di alcuni secondi di lucidità prima di poter capire dove si è?
Lei, un giorno, si svegliò da un sogno di quel tipo, ma con i lati ribaltati: fu costretta a risvegliarsi dalla realtà nella realtà.
Quelle mani, le mani di quella persona gentile, correvano veloci in posti che non avrebbe osato dire.
«Va tutto bene, non è nulla – era una voce sincera, dolce – no, no… non ti agitare, non essere capricciosa, altrimenti diventa più difficile».
Era la voce dolce che aveva imparato a conoscere, forse anche con un po’ di affetto.
La prese per la nuca con forza prima che la sua lingua si facesse spazio nella sua bocca.   
Trascorse un tempo impossibile da misurare, dilatato oltre le percezioni dell’essere umano poi all’improvviso si svegliò dalla realtà nella realtà e per ritrovarsi a raccontare quel sogno, che un sogno non era.
Si scorse ad essere, per la prima volta, una priorità in quella caotica casa dove di crucci già troppi ve ne erano: d’un tratto era diventata il problema centrale.
Tutti gli avvenimenti si susseguirono con una rapidità surreale: le reazioni della famiglia, le reazioni legali, le sue emozioni. Sensazioni attribuibili ad un sogno, ma con lo schiaffo della realtà che la allontanava da sé stessa, dal suo corpo, che suo più non era.

«Suo. Suo di chi? »

«Io? Chi sono io? Io sono una bugiarda».

«Me lo sono cercato perché sono provocante».

«No. Sono solo una bambina fantasiosa e capricciosa. Non è successo proprio niente».

«E’ tutto finto. Ma cosa è finito, il senso di questa esistenza che mi è stata imposta, che non ho scelto? Il senso di questa vita da cui ho dovuto farmi scudo con le mie braccia?»

«Dovrà pur esserci – disse Alice ricordando l’episodio –  un motivo se nel mondo dei grandi si entra a piccoli passi. Babbo Natale è reale fino a che un bambino non è pronto a capire autonomamente la fantasiosa invenzione. Nessuno ci costringe a smettere di crederci fino a che non capiamo da soli la dolce bugia. Questa lieve forma di rispetto per te è venuta meno in quell’occasione.
Funziona così questa società sbagliata: il rispetto per l’età esiste fino a che va tutto bene, ma quando un evento sconvolge una vita la priorità perde ogni dignità e si pretende da una fanciullina la maturità di un uomo.
Chi sa perché nessuno vede questa mancanza di rispetto.
Hanno fatto piovere su di te bambina domande violente come i temporali invernali, pretendendo risposte il più simile possibili a ciò che è facile e non a ciò che è giusto».
«Chi sa come mai è così difficile smascherare un lupo vestito da agnello» rispose Noemi con una punta di fastidio nella voce.
«Forse perché il lupo è furbo, è ingegnoso, ed è terribilmente esperto. Sa quello che fa. Quell’uomo non ha dovuto rispondere agli interrogatori crescendo in un solo giorno. Lui non era intimorito dalla polizia, dalla psicologa o dal giudice. Lui adulto lo era già.
Una domanda mi sorge spontanea: chi sa se quella con te era la prima volta, se già aveva abusato di altre bambine, o se… o se lo avrà fatto di nuovo» rabbrividì.
«Nell’armadio non deve possedere molti vestiti, saranno più che altro scheletri. E costumi da agnello. Da dietro a quelle maschere riderà nel pensare a mia madre in lacrime il giorno che entrando nella mia stanza mi disse “Abbiamo perso, hanno dato ragione a lui”.
Non oso neanche provare ad illudermi che non lo abbia fatto di nuovo. Io non sono un caso raro, queste cose succedono con una spaventosa frequenza, alimentate dal fatto che spesso sono taciute da parte di chi le ha subite. Per vergogna, per paura, o perché, come è successo a me, non si viene creduti. Bambini e bambine diventano adulti e poi anziani, in molti arriveranno al loro ultimo respiro senza riuscire mai a tirare tutto questo fuori dalla loro testa».
Alice la osservò con intensità, come a chiedersi se quello che stava per dire fosse un passo troppo lungo o meno.
«Tu però adesso ne parli Noemi, lo condividi, e credo che condividerlo sia uno strumento potente per la consapevolezza: sia per chi cerca di eclissare la realtà che ha vissuto, ma anche per chi non ha mai sentito parlare di questi episodi. Ne parli con una sorta di naturalezza che, ti dico con il cuore, ti rende onore. Ti avvolge di dignità e di coraggio. Hai imparato a conviverci».
«Conviverci no, se conviverci vuol dire dimenticare – disse con enorme consapevolezza – ci ho fatto pace. È accaduto, non ho potere su ciò che successe quel giorno: ha fatto di me quella che sono adesso, mi ha forgiata, non posso dimenticarlo. Guarderò sempre il mondo intorno a me con un occhio diverso, osservando i pericoli che, chi ha avuto la fortuna di non vivere questa esperienza, probabilmente non noterà mai. Non voglio fingere, oppure dimenticare l’esistenza di persone come quest’uomo; la memoria, come hai suggerito anche te, deve diventare uno strumento di condivisione».
«Anche per aiutare chi, a differenza tua, non è riuscito ad esorcizzare ciò che gli è successo» concluse Alice. 
Cadde un silenzio sereno, privo di disagio. 
Il sole aveva iniziato a battere insistentemente sul laghetto che Noemi ed Alice avevano di fronte, ormai il grande Hyde Park era asciutto e gremito di passanti.
Alice si guardò intorno rimuginando su quanto si erano appena dette: quel giorno c’erano tante persone nel parco: chi di loro guardava il mondo con gli stessi occhi di Noemi?
Chi sa se tra quelle donne, uomini e bambini c’era qualcuno che si era arreso a condurre una vita fatta di realtà nascoste, o se qualcuno di loro era come il custode nella palestra che Noemi frequentava da bambina.
Le amiche si alzarono a passeggiare sotto i raggi del sole e nessuna delle due, almeno per quel pomeriggio, menzionò più l’argomento. Ma lasciandosi il laghetto alla spalle, entrambe si chiesero perché anche nell’epoca moderna fosse così semplice, seppur non giusto, lasciar cadere – legalmente – i diritti di un bambino.