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Eternità

L’ho odiata questa vita. Giuro, l’ho odiata per un’eternità.
Uno stesso lasso temporale può essere percepito come breve o infinito, a seconda di ciò che lo accompagna.

Le novità lo accorciano, l’abitudine rende ogni ora uguale a sé stessa; ripetizione, schemi, ore dilatate,
una giornata… sembra… non finire… non finire… finire… mai.

L’alba del nuovo giorno incombeva. Aveva un fiato fetido e insostenibile. Il nuovo giorno era vuoto di sapori, pieno di ore, un susseguirsi univoco, senza un colore.
Grigio.
Un circolo vizioso.
E’ così che ho capito di odiarla per la prima volta.
Era un giorno di pioggia, no, forse era un giorno di sole, no.
So solo che quando mi sono svegliata ero talmente stanca che già sembrava sera, sul collo pesava una coperta grande come un macigno. Inquietante.
Pillole di sopportazione sul comodino, erano apparse.
Pillole di sopportazione, le mandavo giù – metaforicamente –  ogni mattina sperando che bastassero per arrivare alla notte, così da poter sparire sotto le coperte – quelle vere, fatte di stoffa –.

La mia eternità di odio verso questa vita, vissuta con stoica sopportazione e quella forza d’animo che si riconosce solo ai cavalieri (con cavallo armatura e tutto), al momento di tirare le somme ho scoperto essere durata al massimo un paio d’anni.
E che sono un paio d’anni in confronto ad un’intera esistenza?
L’ho odiata questa vita, per un’eternità talmente breve che a un certo punto ne sono uscita.
Ho smesso di odiarla, questa vita.
Non mi piacciono i circoli viziosi, preferisco la fantasia fantasiosa, fatta a modo mio.
Mi piace vedere un po’ di sole, che sia prima o dopo la pioggia poco importa, basta che ci sia.
E comunque la pioggia non dura mai per sempre.

E l’odio è raro.

Quando ci si concede precipitosamente all’odio si mette un piede in fallo già ancor prima di aver davvero mosso la gamba.
Mi rendo più chiara e leggibile: odiare qualcosa (o qualcuno) è, di fatto, un fatto impegnativo: tempo, memoria, pazienza, impegna giorni, ore, mesi, impegna la rabbia. Se qualcosa (o qualcuno) ti ha talmente rotto le palle da tendere ai limiti della sopportazione i tuoi poveri nervi… non vuoi saperne più nulla.

Mi spiego?

Piuttosto un sorriso di sfuggita “arrivederci, grazie, e a mai più”
ma odiare? Fate sul serio?
Una bella fatica.
Provare una roba del genere: se lo si fa non si può essere tanto ingenui da pensare che l’oggetto verso cui è rivolta tale sensazione non sia davvero importante.

E lei… che vi devo dire? Importante lo era. Importante lo è. Valeva la pena di sprecare tempo per odiarla.

Così ho lentamente accettato di pensarla con tanta intensità e… come dire: mi sono arresa a non odiarla più. Non è colpa sua se dobbiamo convivere – io e lei – e soprattutto quando dobbiamo conversare non posso sottrarmi, la testa è una (potrei staccarmela?). Insomma, per rompere la mia abitudine fatta di alzate mattutine con coperta e pillole, sono arrivata ad un estremo gesto, primordiale, sconsiderato. Ho iniziato a smettere di farmi domande.
Per esempio: vi siete mai chiesti quale possa essere l’effetto sull’ordine dell’universo nello scegliere se andare a mangiare la pizza o il sushi? Gelato al cioccolato o al pistacchio? Pullman o tram? Cosa può determinare questa scelta nella vita delle altre persone, o nell’equilibrio del loro organismo? O del vostro organismo? La storia del battito d’ali di una farfalla? Se oggi mi gratto la testa, cosa succederà nell’equilibrio del mio cuoio capelluto?
Complicazioni. Dubbi amletici. Rapporti interpersonali… aperti e incontrollati.
No, non lo faccio più.
La curiosa novità si è creata da quando alle domande rispondo con sarcasmo. Ho anche sviluppato senso di piacere nel riuscire a trasmettere a chi mi trovo di fronte il semplice concetto di farsi un pochino meno domande. Un pochino meno cazzate, per così dire.

Durante quell’eternità di odio e pillole di sopportazione, alla fine ho anche imparato a guardare il punto di vista diverso, da cui non posso più prescindere se voglio vedere la punta di bianco nel nero. Quell’unico – per ora –  punto di vista che ancora non avevo mai esplorato, quello che mi ha fatto dire che se la si odia, un po’, in fondo questa vita anche la si ama.
E ciò che si ama non può che essere semplice.

L’ho sempre pensato: le cose complicate – troppo complicate – richiedono energie (infinite) per poter essere amate senza renderci l’esistenza un inferno. Detto da una ingarbugliata come me…
Ho scoperto anche che, se chi ho intorno ride, rido meglio anche io.
Assurdo, ma a me piace ridere.
Forse un po’ per egoismo vorrei che anche altri non la odiassero, la vita, o che quantomeno non se la complicassero.
Può essere che io sia un po’ egoista, ma anche se non lo vedo un egoismo dannoso è pur sempre accompagnato dal giudizio.

O magari, ancora non ci ho capito nulla.